Hai mai pensato che fino all’80% del valore di mercato di un’azienda sia nascosto dietro un marchio, un brevetto o un know-how che non appare nei bilanci? Spesso trascuriamo queste risorse. Eppure sono loro a spingere i flussi di cassa e a sostenere il vantaggio competitivo.

Adesso vediamo il quadro normativo. Ti parlo brevemente di OIC 24 (criteri contabili per i beni immateriali) e di IAS 38 (lo standard internazionale sui beni immateriali). Poi passiamo ai tre metodi principali per la valutazione, cioè redditività, costo e mercato. Così potrai misurare con precisione ciò che finora era invisibile.

Ecco come riportare alla luce il valore nascosto della tua impresa.

Quadro normativo e metodologico per la valutazione dei beni immateriali d’impresa

Parliamo spesso di “immobilizzazioni immateriali” quando menzioniamo marchi, brevetti, know-how o anche semplicemente le competenze chiave delle persone. Magari non li vedi comparire nei numeri di bilancio, ma fidati: sono loro a portare in casa flussi di cassa solidi e veri vantaggi competitivi. Capire davvero cosa intendiamo per “beni immateriali d’impresa” ti dà la bussola giusta per navigare tra risorse difficili da contare ma preziosissime.

Hai mai sentito parlare di OIC 24 o IAS 38? Sono i riferimenti che in Italia e a livello internazionale ci dicono quando possiamo (e dobbiamo) iscrivere in bilancio un bene intangibile. Eccoli in sintesi:

  • deve essere identificabile, cioè distinguibile dagli altri asset;
  • devi poterlo controllare (meglio se hai l’esclusiva!);
  • deve garantire benefici economici futuri e questi benefici devono essere misurabili.

Il principio OIC 24 sulle immobilizzazioni immateriali regola la voce B.I. dello Stato Patrimoniale e chiede che i costi siano iscritti già al netto degli ammortamenti (cioè degli importi che si “consumano” negli anni). L’IAS 38 segue una logica simile ma vigila anche affinché il valore iniziale sia sempre aggiornato, usando il costo o il cosiddetto fair value (cioè il prezzo che otterresti oggi sul mercato), e invita a considerare eventuali svalutazioni periodiche.

E come si valutano questi beni così sfuggenti? Beh, ci sono tre strade principali:

  1. Approccio basato sulla redditività: qui stimiamo il valore attualizzando i flussi di cassa futuri che il bene porterà in azienda (tipo metodo delle royalty o dei redditi extra rispetto ai concorrenti).
  2. Approccio sui costi: si ragiona in modo molto “terra-terra,” contando quanto abbiamo speso per crearli o quanto costerebbe rifarli uguali ora (costo storico, di riproduzione, ecc.).
  3. Approccio di mercato: guardiamo cosa succede fuori, confrontando transazioni simili e analizzando multipli tipici del nostro settore.

Un esempio pratico? Se ci basiamo sui risultati che genera, ci concentriamo sui flussi di cassa (approccio reddituale). Se pensiamo a quanto spenderemmo oggi per avere lo stesso asset, seguiamo il metodo patrimoniale. E se vogliamo una lettura “comparata”, usiamo le transazioni di mercato simili come riferimento, regolando i valori in base a multipli noti o royalty comunemente usate.

Insomma, queste basi normative e metodologiche sono come le fondamenta per costruire ogni analisi più dettagliata sul valore degli asset intangibili. Vuoi approfondire la parte sui principi contabili, italiani o internazionali? Qui trovi tutto spiegato in modo pratico: Valutazione asset intangibili in due diligence finanziaria.

Approccio reddituale per la stima dei beni immateriali d’impresa

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Hai mai pensato a come dare un valore concreto ai beni immateriali della tua azienda? Il metodo che più si usa è il DCF, cioè il Discounted Cash Flow (valutazione dei flussi di cassa attualizzati). In pratica, si prende in considerazione il denaro che quei beni potranno generare in futuro e si riporta tutto al valore di oggi.

Per fare questo, specialmente per il valore terminale (quella parte di valore che l’asset genererà oltre il periodo di previsione dettagliata), si usa spesso una variante del Gordon Growth Model. La formula corretta è:

Tradotto in parole semplici:

  • è il Valore di Mercato (o il valore attuale) che stiamo cercando.
  • rappresenta il Flusso di Cassa Libero (o il reddito economico) generato dall’asset nel primo periodo successivo al periodo di previsione dettagliata. Non si tratta semplicemente di “utili previsti” (), ma dei flussi di cassa effettivi che l’asset è in grado di generare e che sono disponibili per i detentori del capitale.
  • è il Costo del Capitale (o più specificamente, il costo di equity o il tasso di sconto adeguato al rischio dell’asset immateriale) che usi come riferimento. Questo rappresenta il rendimento minimo che gli investitori si aspettano.
  • è il Tasso di Crescita stimato dei flussi di cassa futuri dell’asset, che si presume costante all’infinito.

Il punto forte di questo approccio per i beni intangibili è che si mette al centro il loro contributo economico negli anni a venire. Si parte dalla base, stimando:

  • i ricavi netti che puoi davvero attribuire a quell’asset,
  • le spese operative che servono per mantenerlo vitale ed efficace,
  • gli investimenti in ricerca e sviluppo, oppure in manutenzione, fondamentali per continuare ad avere un vantaggio competitivo.

Poi si costruisce il tasso di sconto, cioè quel coefficiente che “abbatte” i flussi futuri per tener conto dei rischi e dell’incertezza. In questo caso, il WACC (weighted average cost of capital, cioè il costo medio ponderato del capitale) viene adattato aggiungendo un premio per il rischio legato all’immaterialità. Così si considerano i dubbi sulla durata dei benefici o su possibili sorprese tecnologiche che, a volte, spiazzano il mercato.

C’è un passaggio delicato: la stima del valore terminale. Qui si sceglie un tasso di crescita che pensi sia stabile nel tempo e si usa il modello di Gordon Growth, come spiegato sopra, per rappresentare quello “slancio infinito” dell’asset oltre il periodo che hai calcolato nel dettaglio. Questa parte, spesso, vale più della metà del valore complessivo stimato.

Ti racconto una cosa che ci è capitata: l’accuratezza di tutta questa analisi dipende moltissimo dalla qualità dei dati e da quanto sono ragionevoli le tue ipotesi di crescita. Se “sbagli” il tasso g o usi un WACC troppo elevato, ci si trova con un asset svalutato in modo esagerato. Hai bisogno di esempi pratici su come costruire i modelli Excel e scegliere i parametri giusti per l’attualizzazione? Dai un’occhiata qui: discounted cash flow aziendale: come metterlo in pratica.

Un passo alla volta, si arriva a una stima solida e, soprattutto, su misura per la tua azienda.

Approccio basato sui costi nella valutazione dei beni immateriali d’impresa

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Hai mai valutato quanto vale davvero un asset intangibile come un brand, un brevetto o un software sviluppato in casa? C’è un approccio molto concreto che parte proprio dal costo sostenuto per crearlo o acquistarlo. In pratica, analizziamo quanto si è speso e usiamo quei dati come punto di partenza. Ora vediamo insieme i metodi più utilizzati:

  • Metodo del costo storico: qui si prende in considerazione quanto hai effettivamente pagato, inclusi i costi aggiuntivi (come diritti o spese notarili). Per esempio, se hai acquistato un brevetto, in bilancio rimane il valore d’acquisto, al netto di eventuali extra.
  • Metodo residuale: pensato per marchi già sul mercato. Si cerca di capire quanto costerebbe ricrearli oggi, tenendo conto delle spese già affrontate e togliendo ciò che è già stato ammortizzato (cioè quella parte di valore già “consumata” nel tempo).
  • Metodo di riproduzione: molto simile al residuale, ma il focus è su quanto sarebbe necessario spendere per ottenere un asset con le stesse caratteristiche. Qui si include davvero tutto: dai test, al design, fino alle registrazioni ufficiali.

Piccola nota pratica: quando parliamo di immobilizzazioni immateriali, cioè quegli asset intangibili che rimangono in azienda per più anni, bisogna sempre tenere d’occhio l’ammortamento. Si tratta di quel processo in cui il valore originale dell’asset viene “spalmato” su più esercizi contabili, in base alla sua vita utile stimata. Ad esempio, se pensi che un software sviluppato internamente ti durerà cinque anni, ogni anno registrerai una quota di ammortamento che riduce il valore a bilancio.

E sai una cosa? Ogni tanto va fatta una revisione. Può essere che, con i rapidi cambiamenti tecnologici o di mercato, la vita utile che avevi stimato anni fa non sia più valida. In quel caso, si aggiorna la stima per restare sempre a passo coi tempi e con l’evoluzione del settore.

In definitiva, valutare gli intangibili partendo dai costi ti dà una base solida, chiara e subito verificabile, e permette al bilancio di riflettere davvero quanto quegli asset contino per il futuro della tua impresa.

Approccio comparativo di mercato nella valutazione dei beni immateriali d’impresa

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Hai mai pensato a come si stabilisce il valore reale di un marchio o di un brevetto? In pratica, spesso si parte da quello che il mercato sta già pagando per asset simili, un po’ come quando dai un’occhiata ai prezzi delle case nel quartiere prima di mettere in vendita la tua. Qui entra in gioco l’approccio comparativo.

In poche parole, si cercano casi recenti dove sono stati venduti beni immateriali assai simili. Si guarda quali sono stati i multipli applicati, ad esempio il rapporto tra prezzo e ricavi o prezzo ed EBITDA (cioè gli utili prima di interessi, tasse, deprezzamento e ammortamento, divisi per i ricavi).

Come funziona nella pratica?

  • Scegli i comparabili giusti: bisogna trovare aziende o deal che siano davvero in linea con il tuo asset – stessa dimensione, stesso settore, fase di crescita simile. Piccola curiosità: a volte basta una piccola differenza nel contesto per vedere grandi scostamenti nei prezzi.
  • Calcola i multipli di mercato: estrai dai deal presi ad esempio il rapporto tra prezzo di vendita e ricavi, o tra prezzo ed EBITDA. Se ti sembra complicato, pensa ai multipli come a etichette che ti dicono “Questo è quanto vale di solito un brand come il tuo, in rapporto ai soldi che produce ogni anno.”
  • Adatta i numeri: ora serve personalizzare. Se la tua azienda cresce più rapidamente (o più lentamente), o magari il brevetto è più solido, bisognerà correggere i valori di riferimento. Si guarda anche alla protezione legale o alla reputazione del marchio, tutti dettagli che fanno la differenza.

Quando hai finito di cucire questi numeri su misura, li applichi ai dati della tua azienda. Così ottieni una stima molto realistica del valore che il mercato potrebbe offrirti, senza perdere tempo in ipotesi troppo teoriche.

Se vuoi vedere qualche esempio concreto sui multipli usati o su come si fa benchmarking nelle valutazioni, dai un’occhiata qui: come utilizzare i multipli per valutazione aziendale.

Alla fine, questo metodo serve proprio a non perdersi in ragionamenti astratti: ti dà subito quel numero che i compratori sono davvero disposti a considerare sul serio. E questo, nel mondo delle trattative, vale oro.

Processo di selezione della metodologia di valutazione dei beni immateriali d’impresa

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La scelta di come valutare i beni immateriali in azienda non parte a caso. Di solito, ci mettiamo subito a osservare da vicino l’asset, cercando di capirne davvero il ruolo nel business. Apriamo tutta la documentazione che conta: contratti, risultati di vendita, dati di bilancio relativi agli intangibili. Solo dopo aver messo insieme questo puzzle capiamo quale strada prendere, se seguire una logica collegata ai flussi di reddito futuri, al patrimonio dell’azienda o al confronto con il mercato.

Hai mai sentito parlare di due diligence IP? Si tratta, in pratica, di un check approfondito sull’asset stesso. In questa fase raccogliamo:

  • dati su come l’asset ha generato valore negli anni passati
  • previsioni per il futuro, budget e strategie approvate
  • documenti che certificano i diritti di proprietà intellettuale
  • dettagli di bilancio sugli ammortamenti e sulle eventuali rivalutazioni degli intangibili

Fatto questo, il valutatore prepara una perizia dettagliata sull’asset. È una sorta di mappa, che contiene ipotesi di crescita, scelte sul tasso di sconto (cioè il modo con cui “attualizziamo” i flussi futuri), limiti applicativi e simulazioni per vedere come cambiano i numeri se alcune variabili si muovono (la famigerata sensitivity analysis). Tutto ciò diventa parte della relazione tecnica che fa capire, anche a chi non fa questo di mestiere, perché abbiamo selezionato proprio quella metodologia ed esattamente come ci siamo arrivati.

Nella documentazione finale aggiungiamo anche:

  • un modello Excel con tutti i calcoli messi in chiaro
  • un’analisi dei rischi specifici legati all’asset (pensa, ad esempio, a una tecnologia che invecchia in fretta)
  • i criteri usati per stabilire quanto tempo considerare nella valutazione
  • un confronto vero con i benchmark di settore

Quando abbiamo raccolto tutto e sistemato i dati nel modello, arriva la fase della relazione definitiva: questa viene integrata nel bilancio aziendale tra gli intangibili. È qui che la trasparenza paga, sia verso gli investitori sia verso i revisori. Solo così otteniamo una valutazione solida, difendibile e, soprattutto, chiara per tutti gli stakeholder.

Aspetti contabili e fiscali nella valutazione dei beni immateriali d’impresa

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Quando si parla di beni immateriali in azienda, si fa riferimento a tutte quelle risorse che hanno valore ma non si possono toccare, come i brevetti, i marchi o il know-how. Sul bilancio, li trovi sotto la voce B.I., secondo l’articolo 2424 del Codice Civile, e bisogna gestirli seguendo le regole degli OIC 24 o degli IAS 38 (sono le linee guida che spiegano come trattare questi beni). Di base, vengono iscritti al loro costo d’acquisto, o se serve, al cosiddetto fair value (il valore equo di mercato) proprio nel momento in cui entrano in bilancio. Nel tempo, però, il valore viene abbassato dall’ammortamento, che rappresenta il “consumo” graduale di quel bene.

L’ammortamento di questi asset si fa in modo sistematico, cioè seguendo un piano, lungo quella che si stima sarà la loro vita utile. Ogni anno si calcola una quota ben precisa, basata su criteri chiari e ben documentati. Ah, e non basta “mettere l’autopilota”: è importante controllare regolarmente che il periodo di ammortamento abbia ancora senso, specie se la tecnologia oppure il mercato cambiano velocemente.

Ogni anno va fatto anche il cosiddetto impairment test (una verifica per vedere se il valore stimato si può davvero recuperare). Se si scopre che il bene vale meno di quanto segnato in bilancio, bisogna svalutarlo, cioè ridurre il suo valore contabile fino al livello che davvero si può recuperare. Se poi arrivano dati nuovi che dimostrano un valore maggiore, solo allora si può pensare a un ripristino. Ma servono prove solide.

E lato fiscale? Ecco un aspetto interessante: la normativa offre delle opportunità per “rivalutare” questi beni a fini fiscali, per esempio con l’agevolazione del patent box. In pratica, puoi aumentare il valore fiscale degli intangibili e questo incide sulla base su cui calcolare le tasse. Le imposte differite, invece, nascono quando ci sono differenze tra il valore in bilancio e quello riconosciuto dal fisco, vale a dire che può cambiare quanto e quando pagherai le tasse su questi beni. Se vuoi capire meglio come tutto questo si riflette nella due diligence finanziaria, ti consiglio il nostro approfondimento sull’impatto fiscale nella due diligence finanziaria.

E in Nota Integrativa? Devi essere super trasparente. Per ogni categoria di bene immateriale, vanno spiegati:

  • i criteri usati per calcolare l’ammortamento,
  • le variazioni al fondo ammortamento,
  • il risultato dell’impairment test,
  • le imposte differite (sia quelle attive sia quelle passive) collegate a questi asset.

Essere chiari su questi punti rafforza la fiducia degli stakeholder e dà un quadro completo e sincero delle tue scelte contabili e fiscali.

Voce Cosa bisogna descrivere
Ammortamento Criteri seguiti e periodo applicato a ciascun bene
Fondo ammortamento Come è variato durante l’anno
Impairment test Risultato della verifica sul recupero di valore
Imposte differite Valori attivi o passivi generati dalle differenze tra bilancio e fisco

Così facendo, costruisci basi solide e rendi le decisioni aziendali più semplici anche per chi si occupa di gestione, investimenti o valutazioni future.

Considerazioni finali

Riprendendo velocemente, abbiamo visto l’inquadramento normativo (OIC 24, IAS 38) e i criteri di iscrizione per marchi, brevetti e know-how. Poi abbiamo descritto i tre approcci principali: basato sulla redditività, sul costo e sul mercato.

Abbiamo infine illustrato come scegliere il metodo giusto, partendo dai documenti e arrivando alla perizia, e approfondito ammortamento, impairment e aspetti fiscali.

Con queste linee guida, potrai affrontare con sicurezza la valutazione dei beni immateriali d’impresa e valorizzare al meglio ogni risorsa intangibile.

FAQ

Come vengono valutate le immobilizzazioni immateriali?

Le immobilizzazioni immateriali si valutano secondo OIC 24 e IAS 38, adottando approcci reddituale (DCF, royalty), basato sui costi (storico, riproduzione) e comparativo di mercato per stimare valore e rischi.

Quali sono i beni immateriali dell’azienda?

I beni immateriali includono marchi, brevetti, processi, know-how e competenze del personale, elementi spesso non registrati in bilancio ma fondamentali per il vantaggio competitivo.

Come si calcola l’ammortamento dei beni immateriali?

L’ammortamento dei beni immateriali si calcola in base alla vita utile stimata, applicando un piano sistematico (metodo lineare) che iscrive periodicamente la quota di costo nel fondo ammortamento.