Hai notato che spesso il prezzo di un’acquisizione supera il valore delle attività materiali? Perché? Molte volte, dietro a questo scarto si nascondono marchi, brevetti e avviamento (il valore intangibile legato a reputazione e clienti). E senza un’analisi accurata, queste risorse restano fuori dal bilancio!

Durante la due diligence finanziaria (l’analisi approfondita di numeri e rischi), valutare gli asset intangibili diventa essenziale per una stima affidabile. Ora ti guidiamo passo dopo passo nell’applicazione dei principi IAS 38 e degli IFRS per mappare ogni risorsa immateriale e costruire insieme un valore finale robusto e credibile.

Questo è il primo passo per valutazioni che non lasciano niente al caso.

Quadro metodologico della valutazione degli asset intangibili in due diligence finanziaria

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Quando parliamo di asset intangibili, intendiamo quei beni che non puoi toccare con mano ma che possono davvero dare una spinta notevole ai risultati economici di un’azienda. Secondo lo standard contabile IAS 38, un asset intangibile deve essere inserito in bilancio solo se riusciamo a stimarne il valore con affidabilità. Nella due diligence finanziaria, il nostro obiettivo è proprio questo: identificare ogni elemento immateriale e inserirlo nel processo di valutazione, così da avere una visione completa del valore effettivo della società.

Il primo passo? Bisogna rispettare i criteri stabiliti per capitalizzare i costi di sviluppo. Serve un piano dettagliato, prove concrete che la tecnologia o il progetto funzionano davvero e la sicurezza che potranno produrre ricavi futuri. Gli IFRS (International Financial Reporting Standards) sono molto rigidi: chiedono una documentazione precisa e fissano dei limiti su ciò che si può capitalizzare, proprio per evitare valutazioni eccessivamente ottimistiche.

Parliamo ora dell’avviamento, che nasce quando il prezzo pagato per acquisire una società supera il valore di mercato delle sue attività nette (nettato di passività). Nell’ambito della due diligence finanziaria, questo valore viene sottoposto all’impairment test, cioè una verifica annuale per vedere se la cifra riportata è ancora giusta o se va ridotta, così da non sovrastimare i benefici attesi.

In settori dominati dalla conoscenza, come tecnologia, farmaceutica o consulenza, il peso degli intangibili è spesso decisivo. L’innovazione, spinta anche da ricerche come quelle di Solow, fa sì che brevetti, know-how o la semplice reputazione abbiano effetti concreti e possano incidere sul prezzo che si negozia durante una trattativa. Una corretta analisi degli asset immateriali permette non solo di valutare quanto valgano davvero, ma di supportare le decisioni strategiche e individuare possibili sinergie operative.

In sostanza, una buona mappatura e valutazione degli asset intangibili è uno degli strumenti chiave per capire il reale potenziale di un’azienda. Ed è proprio qui che, lavorando insieme, si può fare la differenza.

Tipologie principali di asset intangibili oggetto di valutazione in due diligence finanziaria

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Quanto valore si nasconde dietro ciò che non puoi toccare? Gli asset intangibili sono spesso il vero motore della crescita per un’azienda. In fase di due diligence finanziaria – il processo in cui si valutano i rischi e le opportunità prima di un investimento – questi elementi vanno osservati con la massima attenzione. Vediamoli insieme, uno per uno.

  • Proprietà intellettuale
    Qui parliamo di brevetti (hanno una validità fino a 20 anni), marchi storici (come Coca-Cola, in circolazione da oltre un secolo!) e diritti d’autore su opere creative. Questi asset non solo portano royalty, ma spesso fanno la differenza tra un’azienda leader e una qualunque sul mercato.
  • Segreti commerciali e processi produttivi
    Sono quelle formule “magiche,” ricette, o metodi interni che nessuno fuori dall’azienda conosce. Non sono protetti da brevetto, ma creano un vantaggio competitivo difficile da copiare per chiunque provi a inseguirti.
  • Know-how e competenze delle persone
    Qui entra in gioco l’esperienza dei dipendenti, la capacità di gestire progetti complessi o di trovare soluzioni innovative velocemente. Il capitale umano può cambiare davvero il destino di una società: abbiamo visto manager portare risultati sorprendenti proprio grazie al loro metodo di lavoro unico.
  • Licenze software
    Pensa ai contratti che ti permettono di utilizzare, aggiornare e ricevere assistenza su programmi essenziali per la tua azienda. Che si tratti di soluzioni sviluppate in casa o acquistate da fuori, sono spesso fondamentali per offrire servizi digitali efficienti.
  • Database clienti
    Raccolte strutturate che non contengono solo nomi e indirizzi, ma storici degli acquisti e preferenze personali. Grazie a queste informazioni, il marketing può diventare altamente personalizzato e aumentare il “lifetime value,” cioè il valore totale che ogni cliente genera nel tempo.
  • Accordi di fornitura ed esclusività
    Si tratta di contratti che stabiliscono forniture dedicate, limiti geografici o diritti esclusivi su certi prodotti. Questi accordi possono rendere l’ingresso ai concorrenti una vera salita sotto la pioggia: difficile e scivoloso.
  • Reputazione del brand
    È tutto ciò che i clienti pensano e sentono del tuo marchio. Puoi misurarlo con strumenti come il “brand equity index,” le recensioni o tassi di fedeltà. La reputazione, una volta conquistata, porta clienti e tiene lontani i dubbi.

Alla fine, per dare un valore concreto a ognuna di queste categorie, occorre sempre verificare documenti, fare analisi legali puntuali e controllare le performance effettive legate all’asset.

Categoria Esempi Impatto sul Valore
Proprietà intellettuale Brevetti, marchi, copyright Genera royalty e rafforza il posizionamento
Segreti commerciali Formule, processi riservati Vantaggio competitivo difficile da replicare
Competenze/know-how Esperienza, metodologie interne Migliora i risultati operativi
Licenze software Contratti di utilizzo e supporto IT Ottimizza l’efficienza digitale
Database clienti Dati di contatto e acquisto Aumenta fidelizzazione e valore cliente
Accordi esclusivi Forniture, vincoli geografici Alza le barriere per la concorrenza
Reputazione del marchio Brand equity, recensioni Attrae nuovi clienti, consolida quelli esistenti

Se vuoi davvero capire quanto vale la tua azienda, o quella che stai per acquisire, non puoi fare a meno di considerare ogni dettaglio di questi asset invisibili. Perché spesso è proprio qui che si nasconde il vero potenziale.

Normativa contabile e test di svalutazione nella valutazione degli asset intangibili

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Quando parliamo di asset intangibili, come marchi o brevetti, c’è una doppia domanda che ci facciamo sempre: porteranno davvero vantaggi in futuro? E siamo sicuri di poter misurare il loro costo in modo chiaro? Queste sono le due condizioni indispensabili indicate dallo IAS 38 per registrare per la prima volta un asset intangibile nei conti di una società.

E i costi di sviluppo? Beh, si possono inserire a bilancio, ma solo rispettando regole precise previste dagli standard internazionali, così da non cadere nella tentazione di sovrastimare il valore. Una volta che l’asset è a bilancio, lo si ammortizza secondo la vita utile stimata, tranne per quelli considerati “a vita indefinita”, che fanno storia a sé.

Qui entra in gioco l’impairment test: secondo gli standard IFRS, almeno una volta all’anno bisogna verificare se il valore in bilancio di questi asset (in particolare l’avviamento e tutti gli intangibili a vita indefinita) è davvero recuperabile. Tradotto: si controlla se il valore stimato supera quello che si potrebbe ottenere vendendolo o continuando a usarlo. Se non è così, serve una svalutazione immediata.

Forse ti stai chiedendo: IFRS e US GAAP (gli standard statunitensi) funzionano allo stesso modo? In parte sì, perché tutti e due impongono test periodici di svalutazione. Ma si differenziano sia nella modalità di calcolo del valore recuperabile sia nella frequenza dei controlli.

Guardando al contesto europeo, il Regolamento UE 1257/2012 ha introdotto il brevetto unitario, il che rende molto più semplice ottenere la tutela su più Paesi europei con una sola procedura. In Italia la disciplina è ancora più dettagliata: il D.Lgs. 30/2005 regola le invenzioni, i marchi e i modelli, mentre la Legge 633/1941 difende il diritto d’autore.

Tutto questo crea un sistema di regole solide. Così, quando arriva il momento di fare due diligence finanziarie sugli asset intangibili, imprenditori e investitori possono contare su un percorso chiaro, controlli robusti e test di svalutazione strutturati. Il risultato? Più trasparenza, dati affidabili e meno sorprese nei bilanci.

Approcci di valutazione: costo, mercato e reddito per gli asset intangibili

Se ti trovi a dover valutare un asset intangibile, magari un brevetto, un software o un brand, hai diverse strade davanti a te. In pratica, puoi partire dai costi sostenuti, guardare cosa fanno gli altri sul mercato o puntare tutto sulle prospettive di reddito futuro. Vediamole una alla volta, cercando di capire davvero come funzionano.

  • Approccio dei costi
    Qui vai diretto: sommi ogni spesa fatta per ricerca, sviluppo, validazione. È un po’ come calcolare tutto quello che hai investito per arrivare al risultato. Semplice, no? Perfetto per asset appena creati, quando lo storico di mercato ancora non esiste. Attenzione però: nel caso in cui qualcuno fosse disposto a pagare di più per il tuo asset, questo metodo rischia di sottovalutarlo.
  • Approccio di mercato
    Hai mai guardato i prezzi delle case nella tua zona per capire quanto vale la tua? Questo approccio funziona allo stesso modo. Confronti asset simili e analizzi le transazioni recenti, usando i multipli (tipo il rapporto prezzo/ricavi) per avere valori omogenei. Funziona bene quando hai tanti dati affidabili e un mercato liquido, altrimenti puoi trovarti senza paragoni validi.
  • Metodo reddituale
    Qui invece ci si concentra su quanto potrà produrre l’asset in futuro. Prevedi i flussi di cassa attesi, poi li sconti a oggi usando il tasso WACC (un indicatore che tiene conto del rischio e del costo del capitale). È un metodo capace di fotografare il potenziale, ma richiede previsioni solide, e, diciamolo, una buona dose di esperienza per scegliere il tasso giusto. Se vuoi approfondire questo tema, ti consiglio di leggere valutazione d’impresa con metodo reddituale.
  • Metodi avanzati
    Se la situazione è complessa, ci sono metodi pensati per casi particolari. Il real options method, che tratta l’asset come se fosse un’opzione finanziaria, può essere una soluzione brillante quando il futuro è incerto e servono decisioni flessibili. Il metodo relief from royalty invece valuta quanto risparmi in royalty grazie al possesso esclusivo di un marchio o di una tecnologia protetta. Sono tecniche che richiedono skill avanzate e modelli più articolati, ma possono fare davvero la differenza in certi scenari.

Quando scegliere un approccio rispetto agli altri? Dipende da:

Disponibilità di dati storici e comparabili
Fase di vita dell’asset (nuovo o già consolidato)
Fiducia nelle previsioni di ricavo futuro
Propensione al rischio e livello di incertezza tipico del settore

Insomma, scegliendo l’approccio giusto, decidi se puntare sui costi certi, sul confronto con il mercato o sulle potenzialità di sviluppo dell’asset. La soluzione perfetta? Trovare il mix che ti dà la visione più chiara possibile per prendere decisioni concrete.

Fasi operative della due diligence finanziaria sugli asset intangibili

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Allora, come si affronta davvero una due diligence finanziaria quando si parla di asset intangibili? Immagina di essere affiancato da un partner che ti guida passo dopo passo: ecco il nostro approccio, il modo in cui lavoriamo ogni giorno con imprenditori e manager.

Si parte sempre con un inventario approfondito. Ci sediamo insieme e facciamo ordine: elenchiamo tutti gli asset intangibili, come marchi, brevetti, software, licenze e know-how aziendale. Non lasciamo nulla al caso. È un po’ come svuotare il cassetto della scrivania: trovi gemme che magari avevi dimenticato!

Poi raccogliamo tutte le prove, mappiamo la situazione e iniziamo subito a organizzare la documentazione. Qui entra in gioco la revisione dei contratti: controlliamo licenze, brevetti, accordi di riservatezza e i diritti d’autore già in essere. Lo facciamo con un occhio attento, un documento alla volta.

La data room virtuale diventa la nostra “base operativa”. Tutto il materiale viene caricato qui, così chiunque nel team può mettere mano facilmente ai documenti importanti. E se servono dati da soggetti esterni, li chiediamo in modo strutturato e tracciabile per evitare errori o perdite di tempo.

Superato questo passaggio, ci concentriamo sull’analisi dei rischi. Qui ci chiediamo: ci sono problemi legali in vista? I brevetti sono validi e sfruttabili oppure rischiano di scadere presto? La tecnologia rischia di essere superata? Analizziamo anche i possibili contenziosi in corso e quanto potrebbero impattare sul valore dell’azienda. È come fare un check-up completo: meglio sapere subito dove intervenire!

Dopo aver raccolto tutte le informazioni e valutato i rischi, costruiamo modelli finanziari personalizzati. Niente numeri a caso: li adattiamo davvero alla situazione, includendo diversi scenari realistici. Per ogni variabile, dai flussi di cassa alle scadenze contrattuali, facciamo una sensitivity analysis (cioè testiamo come cambiano i risultati se cambiano i dati principali). Questo ci aiuta a capire in modo trasparente quanto “vale” ogni asset e quanto possono influire le oscillazioni del mercato.

Il lavoro si chiude con una relazione chiara e densa di spunti pratici. Il report di due diligence offre una panoramica completa: punti di forza, zone d’ombra, riflessioni pratiche su come mitigare i rischi e su come massimizzare il valore degli asset intangibili. Dentro trovi grafici, tabelle intuitive e commenti che parlano la lingua dell’impresa, non quella dei burocrati.

Ecco, questa è la nostra ricetta per una due diligence seria e umana sugli asset intangibili. Pronta da mettere in pratica fianco a fianco, come piace a noi e ai nostri clienti.

Integrazione dei risultati nella stima dell’enterprise value dell’operazione

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Quando valutiamo gli asset intangibili, come brevetti, marchi o il know-how di un’azienda, quei numeri entrano direttamente nel prezzo finale della trattativa. Immagina di suddividere la cifra che investirai: una parte va per i beni materiali, un’altra per gli intangibili, il resto per il cosiddetto goodwill (cioè il valore extra legato alla reputazione o al posizionamento sul mercato). Così riesci subito a vedere quanto pesano davvero i brevetti o il marchio nel conto totale.

Questo passaggio è fondamentale per capire il vero enterprise value (valore d’impresa: la somma di tutti i capitali investiti, sia da chi mette soldi che da chi presta). Sapere quanta parte del prezzo si spiega con gli intangibili aiuta a decidere quanto sei disposto a investire per acquistare quell’azienda. Se ti interessa vedere come si arriva a calcolare questo valore, puoi dare un’occhiata qui: enterprise value definizione e calcolo.

Questa stessa ripartizione incide anche sull’equity value (ossia il valore che resta agli azionisti dopo aver tolto debiti e passività). E qui la due diligence sugli intangibili fa davvero la differenza: se è dettagliata e rigorosa, aiuta a eliminare dubbi e rende tutto più trasparente. Così il prezzo di compravendita che emerge rispecchia molto meglio la realtà.

Poi c’è un altro tema chiave nei deal di M&A: le sinergie operative. Vuoi sapere quanto valore aggiuntivo può portare una fusione o acquisizione? Basta valutare quali costi puoi eliminare o quali ricavi extra puoi generare facendo squadra. Queste sinergie finiscono nel modello finanziario, e spesso fanno salire l’enterprise value complessivo del progetto.

Insomma, il bello di questo approccio è che rende la negoziazione molto più solida. Ogni cifra poggia su risultati chiari, misurabili e su scenari realistici. Così, sia da acquirente che da venditore, puoi ragionare a tavolino e puntare sul valore reale dell’operazione.

Criticità e best practice nella valutazione degli asset intangibili in due diligence

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Parliamoci chiaro: quando bisogna valutare gli asset intangibili durante una due diligence, è facile cadere nella trappola dei bias. Magari si finisce per attribuire troppo valore perché i dati sono scarsi o poco chiari, oppure si fanno ipotesi soggettive che non stanno in piedi senza parametri condivisi. E quando le fonti sono tante e molto diverse tra loro, la fiducia nelle stime scende. In questi casi, diventa davvero fondamentale mantenere un approccio etico e trasparente per proteggere la credibilità sia di chi valuta che degli investitori coinvolti.

Allora, come si fa a evitare questi scivoloni? Noi puntiamo su alcune best practice semplici ma efficaci, tutte mirate a far parlare i dati e i processi chiari. Per esempio, usare il benchmarking (cioè controllare come si sono mosse transazioni simili) ci aiuta a capire se le stime sulle entrate future sono in linea con il mercato. Ogni volta che confrontiamo casi reali o ci fermiamo a riflettere sulle lezioni imparate dal passato, riusciamo a migliorare il nostro metodo. E c’è sempre una verifica interna, fatta proprio per evitare che le ipotesi restino solo sulla carta.

Ecco un piccolo vademecum operativo che ci piace seguire:

  • Preparare una documentazione completa con tutte le prove contrattuali e legali
  • Confrontare parametri chiave con i principali multipli del settore e i dati di mercato
  • Aggiornare spesso i tassi di sconto e le ipotesi di crescita, per stare al passo col mercato
  • Coinvolgere esperti tecnici e legali: solo così diritti e licenze sono davvero a prova di bomba
  • Comunicare in modo chiaro i margini di ricavo possibili e i rischi residui, senza filtri

Quando queste pratiche diventano routine, la due diligence sugli intangibili non solo è più precisa ma anche replicabile e chiara per tutti i partner coinvolti. Così si costruisce fiducia e il processo diventa una vera leva per la crescita.

Casi applicativi e settori d’eccellenza per la valutazione degli asset intangibili

Ma quanto contano gli asset intangibili nei diversi settori? In ambito farmaceutico, ad esempio, ci concentriamo su brevetti (hanno una validità fino a vent’anni) e licenze di commercializzazione. Analizziamo subito lo stato delle approvazioni regolatorie, la solidità del portafoglio brevetti e quando e quanto i prodotti in pipeline potranno generare ricavi. Così riusciamo a stimare l’avviamento (cioè il valore extra, spesso collegato alla reputazione o alla posizione di mercato) di ogni farmaco, senza dimenticare i rischi di scadenza o possibili azioni legali su quei brevetti.

Se guardiamo al settore tecnologico, invece, qui si parla principalmente di software proprietari, algoritmi e diritti digitali. Ci piace immergerci nel codice, verificando se è proprietario o open source e quanto il team sia rapido nell’aggiornare i prodotti. Non è finita: valutiamo anche il valore futuro dei prodotti digitali usando dati concreti, come il numero di utenti attivi e la percentuale di rinnovo degli abbonamenti. In poche parole, seguiamo la crescita reale, non solo le promesse.

E poi c’è il retail. Qui il valore del brand, la fedeltà dei clienti e i programmi loyalty sono il vero cuore pulsante. Andiamo subito a fondo sulle performance delle carte fedeltà, sul valore nel tempo di ogni cliente (il cosiddetto “lifetime value”) e su quanta influenza abbia la reputazione online. Un marchio forte può durare e creare valore per anni, ma teniamo d’occhio i trend e le recensioni: basta un cambio improvviso nei gusti del pubblico per ribaltare il mercato.

Ultimo, ma non certo meno importante: le biotecnologie. In questo settore, il focus è su proprietà intellettuale legata a tecnologie in fase di ricerca, accordi di licensing e collaborazioni strategiche con big player. Studiamo insieme le milestone (traguardi negli studi clinici), come vengono gestite royalty e clausole di esclusiva. Con questo approccio riusciamo a tradurre l’innovazione scientifica in numeri chiari, utili soprattutto quando si negoziano fusioni e acquisizioni.

Ecco come trasformiamo asset immateriali in reali opportunità di crescita.

Considerazioni finali

Con un approccio pratico, abbiamo definito asset secondo IAS 38 e illustrato tipologie come brevetti, know-how e relazioni con i clienti. Abbiamo chiarito la normativa IFRS, il test di impairment e gli approcci costo, mercato e reddito.

Poi il workflow operativo: raccolta dati, modelli finanziari e report, fino all’integrazione in enterprise value. Infine abbiamo evidenziato criticità, best practice e casi reali in settori pharma, tech e retail.

Siamo pronti a guidarti nella valutazione degli asset intangibili in due diligence finanziaria con sicurezza e chiarezza.

FAQ

Cosa si intende per beni intangibili?

I beni intangibili sono risorse non fisiche che generano benefici economici futuri e possono essere iscritte a bilancio secondo lo IAS 38.

Quali sono esempi di asset intangibili?

Tra gli asset intangibili figurano marchi, brevetti, diritti d’autore, segreti commerciali, know-how, licenze software e relazioni con i clienti.

Come si svolge la valutazione degli asset intangibili?

La valutazione degli asset intangibili utilizza approcci per costo, mercato e reddito, analizzando costi di sviluppo, comparabili di mercato o flussi di cassa scontati.

In cosa consiste il metodo delle royalties?

Il metodo delle royalties stima il valore intangibile calcolando le royalties evitate con un accordo ipotetico, applicando tassi di royalty e attualizzando i flussi evasi.

Come si valutano marchi e brevetti in bilancio?

Marchi e brevetti sono valutati in bilancio per fair value, spesso con metodo del reddito o royalties, e ammortizzati in base alla vita utile stimata.

Come si valuta il know-how aziendale?

Il know-how aziendale si valuta stimando flussi incrementali generati dalla competenza interna, generalmente con approccio reddituale o cost-to-create.