Analisi della struttura dei costi nella due diligence finanziaria vincente

Sai che più del 40% dei progetti di acquisizione si blocca per costi confusi?
In una due diligence finanziaria (revisione approfondita dei numeri), mettere a fuoco ogni voce di spesa diventa il tuo asso nella manica per evitare imprevisti e far crescere i profitti.

In questo post ti guidiamo passo dopo passo attraverso la mappa dei costi.
Scoprirai come separare spese fisse e variabili, attribuire i costi indiretti e smascherare inefficienze nascoste.
Così potrai spingere al massimo la tua strategia di investimento.

Ecco come trasformare la tua due diligence in un vantaggio competitivo.

Framework per l’analisi e riconciliazione della struttura dei costi

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Hai mai pensato a quanto conti capire davvero la struttura dei costi in un’azienda? Beh, qui c’è una scorciatoia pratica che spesso usiamo per partire con il piede giusto:

  • Distingui tra costi fissi e variabili fin da subito
  • Raggruppa tutti i costi diretti per business unit (o reparto, se preferisci)
  • Stabilisci regole chiare per come assegnare i costi indiretti
  • Prepara (anche solo come bozza!) una semplice tabella su Excel

Ci siamo passati anche noi: quando affronti una due diligence finanziaria, la qualità dei dati e la chiarezza del processo fanno la vera differenza. La prima mossa è sempre la stessa: segmentiamo i costi mensilmente, fissando subito quali sono fissi (per esempio, affitti e stipendi amministrativi) e quali invece cambiano con la produzione.

E con i costi diretti? Li mettiamo insieme tutti: materie prime, salari degli operai, tutto quello che finisce direttamente nel prodotto o servizio. Poi c’è la questione degli indiretti, tipo le spese generali, che vanno ripartite secondo logiche comprensibili. In genere usiamo dei “driver” – come i metri quadri di spazio utilizzato, le ore effettive di lavoro, o addirittura il numero di ordini gestiti – per suddividere in modo equo questi costi tra reparti e processi.

Il nostro framework tocca sempre tre orizzonti temporali: quello storico (cioè ciò che è già successo), la situazione attuale, e le proiezioni nel business plan. Vuoi sapere perché? Perché così riusciamo a vedere quanto pesano davvero le varie voci sul fatturato e, magari, scovare sacche di inefficienza che altrimenti resterebbero nascoste.

Quando arriva il momento della scelta del metodo, di solito ci muoviamo tra tre opzioni molto conosciute: activity-based costing (“ABC”, dove ogni costo viene agganciato a un’attività specifica grazie a driver come le ore macchina), full costing (che somma tutto, diretto e indiretto, per restituire una fotografia completa), oppure direct costing (focus sui costi diretti, aiuta anche a calcolare il margine di contribuzione – ovvero la differenza tra ricavi e costi diretti – e a capire quando si raggiunge il punto di pareggio).

Integrare uno di questi modelli nell’analisi della struttura dei costi può sembrare impegnativo, ma ti assicuro che ne vale la pena: i report diventano decisamente più chiari da presentare al management. E se hai bisogno di un confronto oggettivo col budget, ti consiglio di dare un’occhiata anche alla nostra guida approfondita sui costi della due diligence finanziaria.

Riconciliazione del conto economico e esempio di allocazione

Veniamo a uno step spesso sottovalutato: la riconciliazione tra il conto economico ufficiale e l’analisi puntuale dei costi. In questa fase ci accertiamo che tutte le percentuali tornino e che non ci siano discrepanze tra ciò che ci racconta il bilancio e quello che emerge dai dati dettagliati. Ti faccio vedere subito un esempio di tabella che usiamo spesso per riassumere:

Categoria Costi Esempi di voci % Incidenza Media
Materie prime Commodities, semilavorati 25%
Manodopera diretta Stipendi operai, straordinari 20%
Overhead industriale Energia, manutenzione 15%
Amministrativi Affitti, consulenze 10%
Fiscali e oneri IMU, tasse rifiuti 5%

Ecco, con questa riconciliazione hai sotto controllo sia il quadro generale che i dettagli nascosti. Così puoi prendere decisioni concrete per migliorare la redditività. Alla fine, è tutto qui: semplicità, trasparenza e un pizzico di buon senso.

Calcolo dei margini e benchmarking dei costi nella due diligence

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Parliamo spesso di margine operativo lordo, quello che in inglese chiamano EBITDA (ossia gli utili prima di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti rispetto ai ricavi). Questo indicatore, semplice ma efficace, ci dice quanto effettivamente rende il core business, senza farci distrarre dalle spese finanziarie o fiscali.

Ora, per capire quanto un’azienda sia solida, di solito guardiamo al ROI (redditività del capitale investito), al ROS (utile operativo sui ricavi) e al ROE ante imposte (utile ante imposte diviso per patrimonio netto). Forse questi nomi sembrano un po’ tecnici; in realtà sono strumenti che, messi vicini, ci permettono un confronto chiaro tra aziende simili. Si tratta proprio di mettere a confronto i risultati, come faremmo con due squadre di calcio prima di una finale.

Vogliamo vedere trend reali, non solo numeri “un tanto al chilo.” Ecco perché misuriamo l’EBITDA storico, e lo rileggiamo alla luce del business plan: ci interessa capire se guarda verso l’alto mese dopo mese o se invece mostra campanelli d’allarme. Quando poi incrociamo ROI e ROE su base triennale o quinquennale, eventuali sbalzi saltano subito all’occhio. E, abbinando il ROS alla rotazione del magazzino (cioè il costo del venduto diviso per la media delle scorte), capiamo quanto bene vengano gestiti gli stock. È come vedere se il motore gira davvero fluido o se ha bisogno di una regolata.

A questo punto entra in gioco l’analisi del punto di pareggio: calcoliamo il margine di contribuzione (che sono i ricavi meno i costi variabili) e capiamo quante vendite bisogna davvero realizzare per coprire i costi fissi. Ti suggerisco di non accontentarti di una sola simulazione: è utile immaginare diversi scenari di vendita e chiedersi che effetto hanno sconti o pagamenti dilazionati sull’equilibrio costi-ricavi. Solo così possiamo accorgerci subito di eventuali politiche commerciali che rischiano di “rosicchiare” la redditività.

Un ultimo passaggio: normalizziamo l’EBITDA, cioè lo “puliamo” da tutti i costi non ricorrenti oppure eccezionali. A quel punto, diventa il nostro metro interno di paragone. Ma perché fermarsi qui? Il benchmark vero arriva confrontando i costi dell’azienda con quelli medi del settore: così emergono subito discrepanze anomale, sia sui costi industriali sia sulle spese generali. Ed è grazie a questa panoramica che possiamo rivedere le strategie di pricing o ricostruire il piano dei costi.

Side note: una volta abbiamo aiutato una PMI a migliorare di cinque punti percentuali il margine semplicemente allineando i suoi costi ai migliori della categoria.

Insomma, con questi strumenti puoi guardare sotto il cofano e capire davvero dove si nascondono punti di forza e zone d’ombra.

Tecniche avanzate di normalizzazione e rettifiche di costo in due diligence

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Quando iniziamo una due diligence contabile sui costi, la prima cosa che facciamo è andare a caccia delle voci “fuori posto”. Mi viene da chiederti: hai mai trovato una spesa che spunta una sola volta e poi sparisce? Ecco, quelle sono le tipiche “one off”, cioè i costi o i ricavi che non fanno parte della gestione ordinaria. Parliamo di plusvalenze insolite, costi di ristrutturazione, o spese per cause legali. Li eliminiamo subito per avere una visione più fedele e pulita del business.

Dopo aver sistemato questi dettagli, ci concentriamo su tutto ciò che riguarda ammortamenti, svalutazioni e lease. Cosa succede qui? Prima uniformiamo il modo in cui l’azienda ammortizza (cioè “spalma” nel tempo il valore di un bene), poi correggiamo eventuali svalutazioni sugli impianti, e infine trasformiamo i leasing operativi in finanziamenti, così le cifre sono comparabili con quelle di altre aziende simili. Gli oneri delle revisioni contabili ci aiutano a fare questi controlli, con verifiche precise su conteggi e piani di ammortamento: meglio prevenire che curare discrepanze fastidiose.

Non finisce qua. Sai dove spesso si annida una differenza nascosta? Nei compensi del management. Per rendere davvero confrontabile l’azienda con le sue “pari”, andiamo a imputare (cioè conteggiare) il valore di mercato delle retribuzioni dei soci. Non è una spesa che esce in denaro vero, ma aiuta molto a capire come starebbero i conti in uno scenario normale.

E poi? A ogni voce che modifichiamo associamo una mini due diligence fiscale. Rivediamo accantonamenti, perdite che si possono riportare o crediti d’imposta: in pratica, verifichiamo che non ci siano sorprese o errori nascosti che potrebbero cambiare il quadro. Solo facendo tutto questo possiamo dire che l’EBITDA (cioè il margine operativo lordo, calcolato come utili prima di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti, diviso per i ricavi) mostra davvero la performance di base. Così anche tu puoi valutare, senza ombre, la vera forza dell’azienda.

Strumenti e modelli operativi per l’analisi dei costi in due diligence

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Hai mai affrontato l’analisi dei costi in una due diligence? Spesso serve una guida pratica. Noi di Wayne Capital la creiamo insieme a te.

Ecco la checklist operativa che usiamo nei nostri progetti:

  • Creazione di un modello Excel time-driven per i costi basati sulle attività (Activity-Based Costing, ABC)
  • Definizione dei parametri di costo pieno (full costing) e di costo diretto (direct costing)
  • Raccolta dei dati di contabilità analitica con i relativi driver di allocazione
  • Allestimento di fogli per budget finanziario e previsioni di costi e ricavi

Piccola nota. La configurazione time-driven in Excel ti aiuta a vedere i costi per attività in pochi click.

Per il budget e le previsioni di costi e ricavi puoi valutare anche soluzioni software specializzate.
Scopri di più su questo articolo software per controllo di gestione.

Pronto a iniziare?

Case study: applicazione dell’analisi dei costi in acquisizione azienda di servizi B2B

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Immagina una PMI che lavora nel mondo dei servizi B2B. Il suo bilancio? Per ogni euro di spesa, il 30% va ai costi diretti e il 70% a quelli di struttura. Quando questa azienda ha affrontato una nuova acquisizione, ci siamo messi subito al tavolo con il management. La sfida era chiara: semplificare e integrare i costi senza perdere il controllo.

Il primo passo? Abbiamo mappato tutte le attività di back-office. Non solo per vedere dove scorrevano i soldi, ma per raggrupparli in centri di costo più facili da gestire. Così è stato più semplice capire dove intervenire senza bloccare le attività principali.

Ci siamo poi concentrati su un punto spesso sottovalutato: i costi di avvio dei nuovi progetti. Soprattutto all’inizio, quando tutto è in movimento e i processi si devono ancora stabilizzare, questi costi rischiano di esplodere. Con procedure standard e un semplice foglio di calcolo aperto a tutto il team, siamo riusciti a ridurre i costi di questa fase del 15%, un risultato che si è fatto sentire in fretta nel back-office.

Nel frattempo, abbiamo confrontato i costi aziendali con quelli di altre realtà simili. Ci siamo accorti che i software gestionali dell’azienda erano più costosi del 20% rispetto alla media di mercato. Allora? Siamo passati subito alla rinegoziazione dei contratti, cercando sinergie operative vere. Alla fine, la spesa annuale per le licenze è calata del 10%. Un bel respiro per la liquidità, confermato mese dopo mese.

Per tenere il polso della situazione durante l’integrazione post acquisizione, ci siamo affidati al calcolo delle sinergie finanziarie post-acquisizione di PMI di servizi B2B. Questo ci ha permesso di monitorare ogni miglioramento quasi in tempo reale e di programmare nuove azioni di ottimizzazione insieme al management.

In sintesi? Lavorando fianco a fianco, unendo strumenti semplici e analisi di settore, abbiamo trovato spazio per tagliare costi e migliorare i risultati, e l’azienda oggi guarda alle prossime acquisizioni con molta più sicurezza.

Considerazioni finali

In questo articolo abbiamo fornito un framework operativo per distinguere costi fissi, variabili e allocare costi indiretti con esempi pratici. Abbiamo illustrato come calcolare margini, punto di pareggio e benchmark di settore per valutare performance e individuare anomalie.

Poi abbiamo visto tecniche per normalizzare costi non ricorrenti e applicare metodi ABC, full e direct costing. Abbiamo proposto modelli e tool operativi per rendere l’analisi ripetibile.

Il case study su una PMI di servizi B2B ha mostrato sinergie e risparmi concreti post-acquisizione. Così puoi applicare l’analisi della struttura dei costi nella due diligence finanziaria e guardare al futuro con fiducia.

FAQ

Che cos’è l’analisi di due diligence?

L’analisi di due diligence esamina approfonditamente aspetti finanziari, operativi e legali di un’azienda per valutarne rischi e opportunità prima di un investimento o acquisizione.

Quali sono le fasi del processo di due diligence?

Il processo di due diligence si articola in preparazione, raccolta documentazione, analisi approfondita (finanziaria, legale, operativa), revisione delle evidenze e redazione del report finale con raccomandazioni.

Che cos’è la due diligence finanziaria?

La due diligence finanziaria valuta conti, flussi di cassa, ricavi, costi e margini per confermarne la solidità economico-finanziaria e identificare rettifiche necessarie prima di un’operazione.

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